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Filippo Staniscia indaga la storia dell’immagine e, meglio, le sperimentazioni digitali - come variabili costanti - della manipolazione dell’uomo. Corpo, materia, forma e luce sono gli elementi distintivi sui quali l’artista astigiano si interroga, giorno e notte, cercando di riformulare nuove risposte sulle modalità di percepire nel fruitore un’immagine corporale contemporanea.

Ed ecco che le sue opere digitali si trasformano in neoicone, mitologie storiche derivanti dall’idea di dipingere con il pigmento. Staniscia cerca di andare oltre la linea di confine tra la pittura e il supporto sbalordendo, per l’appunto, l’osservatore e negando, quasi paradossalmente, la pittura classica ed accademica. Infatti, azzerandone la funzionalità della pittura tradizionale, servendosi della stampa digitale su plex, alluminio ed altri supporti sintetici, l’artista introduce una forma di illusione visiva che - pur non appartenendo a nessun retaggio di tipo pop - genera una metamorfosi emotiva e transfisica. Infatti nella produzione Stanisciana - che inizia da Leonardo fino a De Chirico - ad esempio, si  potrà vedere la contaminazione di uno stargate tra l’indice e l’impronta.

Due punti, come di seguito elencati, risultano fondamentali per entrare nella forte soggettiva del campo d’azione della geografia artistica di Filippo Staniscia:

  1. Tutte le opere sono diffuse da una luce, una illuminazione scenica e scenografica che dagli albori di Michelangelo Merisi (Caravaggio), sono andate sempre più strutturandosi analiticamente in forme entropiche sul colore, nate dai processi di sintesi in artisti come Kandinskij o dalle modalità contemporanee sullo studio del colore complementare, nel cerchio di Itten.

  2. La griglia, dalla computergrafica denominata layer, sovrappone i tempi di azione in cui il nostro artista agisce e utilizza, al fine di moltiplicare o isolare immagini prelevate da contesti e periodi storici differenti. In questo caso l’equilibrio del principio euritimico per la costruzione paratattica della composizione inizia da una fase progettuale nella quale l’uso del computer risulta fondamentale.

 

Allora, vediamo come l’impiego dei Digital Media muta da artista ad artista, dove l’equilibrio di immagini ready-made si esemplifica in forme visive e/o verbali al servizio di documentare la fenomenologia (riflesso tra arte, politica, scienza, tecnologia) e l’antropologia Lo hanno ai nostri giorni, artisti come LaChapelle (nella fotografia), Rotella (nei décollage) e tanti altri, che dall’immagine, sono riusciti a comprendere l’importanza di costruire storie che potessero parlare delle impronte per una civilizzazione ed evoluzione sull’umanità. Un fenomeno interessante, facente parte della cronaca recente - che ha creato sgomento nell’opinione pubblica - è stato quello decretato dal premier turco. Erdoğan, nel luglio scorso, ha deciso di far ritirare dai banchi scuola, in Turchia, tutti i libri che trattavano la ‘Teoria dell’Evoluzione’ di Darwin.

Questo terribile episodio - che limita la libertà di pensare nell’uomo - sembra configurarsi nella nostra mente come una immagine sbiadita, uno still prelevato dal film Fahrenheit 451 (1961) di François Truffaut. È  impensabile che quest’episodio, anche come segno di protesta, non produrrà contro-reazioni in immagini evolutive ed involutive negli artisti contemporanei.

 

Arduo e coraggioso è, quindi, il lavoro di Filippo Staniscia che parla di ‘neoumanesimo’ di attenzione a quelle immagini cult che sono il frutto della nostra storia presente e passata. 

Se, il mito per molte di queste opere  è dato dalla loro notorietà nei musei, è anche vero che il respiro vero della conservazione, nel tramandare le immagini, consiste nel cercare di educare, soprattutto il pubblico più giovane, verso un estetica del gusto.

Non fu, forse, Marcel Duchamp a mettere i baffi alla Gioconda nel 1919, nelle celebre opera L.H.O.O.Q., e, così facendo, rafforzarne il mito nell’opinione pubblica?

Opere rivisitate e studiate che - oltre all’iconografia di Caravaggio o Mantegna - aprono a sfondamento totale dell’agire sui piani di fondo nelle intere composizioni. Griglie alla Mondrian che espresse in celle divengono cassetti ordinati dai quali prelevare indumenti, panneggi, manichini, animali, paesaggi, affiche, oggetti vari consumati dall’umanità.

I lavori di Staniscia descrivono l’evoluzione del costume sociale, le tendenze e  lo style del Rinascimento, del Seciento; mentre le inflessioni stanisciane riferite ai movimenti inscritti nel Futurismo, nel Surrealismo (con Magritte) e nella Metafisica (De Chirico) divengono un pretesto per il nostro artista-regista, al fine di emancipare forme antropomorfe raffigurate, svelandone e denudandone i corpi. 

Ad esempio, togliere gli abiti dai manichini di De Chirico, oppure vestirli? 

Tutto questo riguarda il tipo di ruolo che ha voluto dare l’artista contemporaneo alle proprie produzioni artistiche durante lo scorso Novecento.


Casorati, da conservatore dell’immagine corporale, immette, finita la stagione eclettica del Futurismo, una costruzione figurale legata ad una impiantistica di tipo Rinascimentale. Tutto questo segnerà, soprattutto, molti degli artisti italiani, i quali, condizionati dalle tendenze figurative presenti in pittura, diverranno dei bravi esecutori.

 

Mentre il MAC (Movimento d’Arte Concreta) 1948, con Dorfles, Soldati, Munari, darà in quegli anni un importante contributo orientato a comprendere quello che l’immagine avrebbe dovuto comunicare - di fatto lo introdusse - partendo dagli studi sulla percezione visiva (figure gestaltiche) e, sopratutto, dall’idea estesa di andare oltre la convenzionalità pittorica,  dissertando per primo in l’Italia sul termine di arti visive (che  parzialmente  era stato introdotto dal  Bauhaus in Germania, 1919, ad opera di Gropius).

La ‘manipolazione artistica’ diventa un gioco, un divertimento nel far scorrere le pagine della storia dell’arte secondo una modalità, forse, anacronista, azionando dal cuore-motore dell’arte il bottone intelligente del riflettere.

Il lavoro che Filippo Staniscia emette al pubblico è come un frullatore di storie ma anche delle sue emozioni visive nate da quelle lunghe notti insonni, dall’inesauribile volontà di percorrere un meraviglioso viaggio, indefinibile, tra il tempo e lo spazio

Gabriele Romeo, Critico e Storico dell'Arte

curatore Padiglione Bolivia 57° edizione

Biennale d’arte di Venezia

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