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FILIPPO ​STANISCIA • DESIGNER • VISUAL ARTIST

Filippo Staniscia è un designer e digital artist astigiano.

Dopo il diploma in architettura e arredamento al liceo artistico, frequenta il master di Graphic Design all’Istituto di Design di Torino. È fondatore e creative designer dell’agenzia pubblicitaria Design Agency, consulente di riviste a tiratura nazionale (è l’ex Direttore creativo della rivista EGM, edizione italiana di una delle più interessanti riviste di videogiochi degli Stati Uniti) e docente di Grafica Pubblicitaria, Marketing e Adobe Creative Suite CC con specializzazione in Photoshop avanzato e Digital Art.Nel 2013 partecipa e cura il progetto grafico della prima mostra coreutica d’arte contemporanea Relativity of Emotions, a Venezia. In tale occasione conosce il critico e storico dell’arte Gabriele Romeo, curatore della mostra, e insieme fondano l’associazione Venice C’Art (coreuticart.com), che si occupa della promozione delle arti visive ed uditive con l’intento di avvicinarle ad un pubblico vasto ed eterogeneo edi abbattere così le barriere culturali ed economiche troppo spesso legate al mondo dell’arte contemporanea.

Chi è Filippo Staniscia?

Un designer e un artista, nel senso più puro del termine. E da attento osservatore quale sono, cerco di trarre dall’analisi della realtà forme di ispirazione originali per la mia arte. Sensazioni ed emozioni diventano forma, colore, materia e concorrono a tradurre in rappresentazione visiva la mia idea di infinito e dell’inesorabile scorrere del tempo che tutto trasforma e crea. Sono sempre stato affascinato dalla natura, e fin da piccolo sono stato abituato alla felicità delle piccole cose. Ricordo ancora con nostalgia l’emozione data dalla nascita di una cucciolata di gattini, piuttosto che il tepore del primo sole di primavera.

Proprio la luce, luogo dell’anima per eccellenza, mi porta a pensare all’avvicendarsi delle stagioni e alla loro straordinaria gamma cromatica. Non vado a cercare il bello, è la bellezza che mi ha sempre attratto in maniera assoluta, togliendomi interesse per molti altri aspetti della vita, anzi addirittura monopolizzando diversi stadi della mia esistenza.

Quando e come è iniziata la tua passione per l’arte?

L’arte mi ha sempre attirato fin da giovanissimo, avendo scelto un ciclo di studi rivolto alla conoscenza e all’approfondimento delle arti visive. Ho vissuto gli anni della formazione artistica con grande entusiasmo e stupore: la scuola per me rappresenta un laboratorio attraverso cui confrontarmi con forme e colori che cerco di riproporre, ora che sono docente, ai miei allievi. Grande importanza ha rivestito anche lo studio della storia dell’arte, attraverso la quale sono entrato in contatto con il linguaggio dei grandi maestri del passato. Una svolta significativa è arrivata con la conoscenza del mezzo digitale, che mi ha dato la possibilità di sviluppare la tecnica espressiva che mi caratterizza. L’ambiente artistico internazionale con il quale mi relaziono mi offre la possibilità di confrontarmi con svariate forme di espressività, e in genere con grandi artisti. Anche se ritengo che l’incontro di maggior rilievo, sul piano umano ed artistico, sia stato quello con il maestro Giorgio Celiberti, nel suo studio di Udine, dove ho imparato l’importanza della dedizione totale all’arte, unica condizione che porta un artista a risultati significativi.

 

L’arte digitale: cosa è e che possibilità offre rispetto agli altri mezzi espressivi?

È una forma di espressione artistica elaborata attraverso una tecnica che ben rappresenta la contemporaneità e che si è guadagnata l’accettazione e il riguardo concessi a forme d’arte storicamente consolidate. Attraverso l’uso di software grafici, realizzo opere d’arte che solo fino a qualche decennio fa avrebbero comportato un elevato dispendio di tempo ed energia. Già a partire dagli anni 80, l’utilizzo del computer nelle elaborazioni grafiche ha impresso una svolta significativa nel campo del linguaggio artistico, ma si fa risalire al decennio successivo il concetto di realtà virtuale.Termine associato alla scoperta e all’approfondimento di una forma espressiva nuova, dalle potenzialità così importanti da sovvertire i canoni stessi del mercato dell’arte. L’oggetto artistico, infatti, attraverso il linguaggio digitale diventa riproducibile e quindi fruibile da un pubblico estremamente vasto, grazie alla facilità di comunicazione offerta dai sistemi informatici e dalla rete.

In diverse tue presentazioni si legge che hai “come temi preferiti le icone del mondo dell’arte e dello spettacolo che riesci a trasfigurare in una percezione dell’assoluto e dell’inesorabile scorrere del tempo”.

Ci racconteresti qualcosa al riguardo?

È semplicemente un’intuizione avuta qualche anno fa, far rivivere nell’era contemporanea le icone dell’arte e dello spettacolo e farle dialogare con epoche e movimenti artistici con cui non si sarebbero mai potute confrontare. Ecco quindi che l’opera d’arte annulla i limiti del tempo e dello spazio, per ricreare a sua volta una nuova dimensione, resa ancora più potente dal peso iconografico dei personaggi rappresentati. In tal modo riesco ad esprimere il senso di assoluto che è presente in ogni essere umano e che coincide con il mio senso religioso della vita.

 

Nelle Appropriazioni e Disgregazioni, opere con le quali hai partecipato a eventi importanti quali Contemporary Art Exhibition EGOS IV presso la Royal Opera Arcade di Londra e International Art Exhibition AmARTI in Barcelona presso l’Ada Art Gallery, utilizzi soggetti prelevati da opere altrui e

“li frammenti, li mischi, li sovrapponi, li frulli” (come ben spiega il critico Romeo) per raccontare la disgregazione dell’uomo di oggi. Di che disgregazione si tratta?

È un discorso complesso che prende il via dallo studio della psicanalisi, quale tentativo di rispondere al senso di disagio e solitudine che pervade l’uomo moderno. Non è un caso, infatti, che soprattutto nell’ultimo periodo della mia produzione, compaiano riferimenti alla pittura metafisica. Mi sono accostato alla psicanalisi incuriosito da quella straordinaria chiave di lettura che ci conduce allo studio dell’inconscio, e che attraverso una maggiore consapevolezza di noi stessi ci offre la possibilità di rappresentare il nostro io più profondo. La nostra esperienza si può tradurre quindi in arte pura anche attraverso un mezzo inteso spesso come generatore di profitto, il computer,

che grazie all’arte digitale acquista un significato più alto. Per mezzo dei sofisticati sistemi informatici ora a disposizione, è possibile frammentare un’opera d’arte, riprodurre la fisicità di una pennellata, comunicare l’intensità di una sfumatura, tutte operazioni che portano alla rappresentazione della bellezza intesa come forma di arte pura. Il monitor diventa quindi mezzo di comunicazione atto a divulgare e propagandare l’opera d’arte, ma al contempo diventa strumento della sua stessa realizzazione.

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